Pavel Florensky: Le Porte Regali (The Royal Doors)

February 2018


Russian Orthodox priest and theologian, philosopher, mathematician, physicist, electrical engineer, polymath … and martyr. Several years into a ten-year sentence in a labor camp in Siberia, Florensky was brought back to St. Petersburg in 1937 and executed by the Stalinist regime.

In a review essay occasioned by the first English version of Florensky’s great opus, The Pillar and Ground of the Truth, Orthodox priest and scholar Patrick Henry Reardon remarks that Florensky “cannot be comfortably placed in any of our usual categories”:

Poster designer Matthew Doll

Poster designer Matthew Doll

Often compared to Da Vinci as a polymath, his name keeps showing up in the histories of numerous subjects, for hardly any topic was alien to his interest. A linguist who had mastered the principal ancient and modern languages of Europe and was completely at home in the European literature of the past three millennia, he likewise read Hebrew and other Semitic tongues, as well as modern Caucasian and Central Asian languages. Trained in mathematics and philosophy at Moscow University from 1899 to 1904, he rejected a research fellowship to do advanced work in mathematics in order to take up theological studies in the Moscow Theological Academy. For the next seven years until his priestly ordination in 1911, Florensky steeped his mind and heart in the Bible and the entire corpus of Christian theological literature, devoting much of that effort to Greek Patrology. (Books & Culture)

Indeed, Florensky is truly one of the stupendous geniuses in modern history. He wrote significant treatises and essays on an astonishing array of subjects. In his interpretation of Albert Einstein's theory of relativity in terms of geometry, Florensky argues that the geometry of imaginary numbers predicted by the theory of relativity for a body moving faster than light is the very geometry of the Kingdom of God. For referring to the Kingdom of God in scientific research, Florensky was accused of agitation by the Soviet regime. His book Iconostasis (English version published by St. Vladimir's Seminary Press) develops a theology of icons. His essay titled “Le Porte Regali” (The Royal Doors, or the Doors to the Kingdom) presents a metaphysics of images and light.

Brugnera applies the title to the play. Le Porte Regali focuses on the period leading to Florensky’s imprisonment. His wife and daughter are drawn into the steadfast faith that leads inexorably to martyrdom. The play was performed in the cube-like hall of the Palazzo Simoncelli. With the audience surrounding the action at close quarters, with wide windowless walls and the floor covered with pages torn out of books, the space felt close and oppressive. Yet all the while, seated on a raised platform, back to the audience, focused on the large panel before him, icon-writer Fabrizio Diomede slowly brought into luminous view the Face of Christ.

Journalist Edoardo Pieretti gave an appreciative review of the play in the local media.

"Le Porte Regali" aprono alla riscoperta di Pavel Florenskij

Le Porte Regali, progetto di Studio d'Arte Fede e Storia realizzato da Kamina Teatro, recupera e mette in scena la figura di Pavel Florenskij, grande matematico, mistico e filosofo, considerato da molti "Il Leonardo da Vinci russo". Una figura, quasi sconosciuta a molti altri, almeno in questo angolo d'Europa, fino a quando, nel 1991, non furono aperti gli archivi del KGB e da allora iniziarano a circolare molte informazioni sul suo conto. Per trasformare lo studio iniziale in una vera e propria drammaturgia sono occorsi più di due mesi di labor limæ, di riduzione e di sintesi di un pensiero molto vasto, per cercare di rappresentarlo in tutte le sue sfaccettature.

Quello che lo spettacolo si prefigge è, innanzitutto, mettere l’accento sull’importanza che ebbe il culto dell’icona ortodossa nel pensiero di Florenskij che la individuava come il ponte sacro che collega il trascendentale al nostro mondo: esente da prospettiva ed incompatibile con la pittura rinascimentale e post rinascimentale, l’icona presuppone una metafisica delle immagini e della luce. Ed è a questa metafisica che Florenskij introduce nel suo saggio "Le Porte Regali”, dal quale lo spettacolo prende il nome.

Ben interpretato, in ordine di apparizione, da Andrea Brugnera, Raffaele Ottolenghi, Giordano Agrusta, Patrizia Hartman, Ludovico Rohl, Fabrizio Diomedi, Emilio Berrocal, Amane-Ada Brugnera sulla riduzione drammaturgica di Samuele Chiovoloni e la regia affidata a Francesco “Bolo” Rossini, lo spettacolo cerca di trascrivere in chiave moderna questa narrazione così visceralmente legata al sacro e al trascendentale. Ci troviamo così ad ascoltare la storia politica e religiosa di un uomo tormentato dal Regime che lo ha sempre visto con sospetto fino a farlo giustiziare nel 1937 come contro-rivoluzionario dopo essere stato deportato in Siberia, incrociata tuttavia con la vicenda umana del personaggio, soprattutto sottolineando l’incontro con la moglie, la donna che amerà sino alla morte.

L'insolita location di Palazzo Filippeschi Simoncelli è stata scelta proprio per consentire allo spettatore di entrare nella cella monacale del protagonista, trascinandolo nel cuore della narrazione, nell’ambiente semplice, arredato solamente con un letto a castello e con un'icona russa, lavorata costantemente da un artigiano che probabilmente impersona Rublev, il più grande pittore di icone russe. Il pavimento è invaso di carta, ricoperto di pagine di libri strappate. Ci si trova ad osservare intimamente la messa in scena, quasi come la si sbirciasse da una porta socchiusa.
Appare, inoltre, Trotzkij con un elmetto di plastica e un'accetta, nell’atto di uccidere Florenskij, alludendo anche al contesto contraddittorio della Rivoluzione Russa, dove anche chi ne ha preso parte ne diventa addirittura nemico. Lo spettacolo ha un sostrato mistico che lo accompagna, come se in qualche modo ci fosse un aspetto spirituale della storia spirituale d’Europa. C’è un forte rispetto della tradizione, poiché l’area di San Giovenale è stata molto spesso utilizzata come luogo adibito per la rappresentazioni pubbliche di Arte e Fede, nel periodo fra il XIII ed il XV secolo, richiamando alle forme di sacra devozione del Laudario Orvietano, nei suoi cicli di narrazioni.

La chiave di volta - in grado di aprire menti e porte - è proprio il tentativo di riportare aspetti della tradizione nell’attualità, creando nuovi episodi e personaggi.